Il 14 marzo si è svolta la Quarta giornata Nazionale delle Società Benefit. 

Nell’ambito della cornice “Tra avanguardia e regola” la nostra Presidente Alessandra Bucci ha moderato la sessione “Comunicare Benefit: fare beneficio comune e saperlo disseminare”.

Il presidente di Assobenefit Mauro del Barba nella lettera di presentazione di questa giornata scrive: Per le Società Benefit la questione della comunicazione è addirittura fondante, alla stregua degli altri pilastri cui esse ispirano la propria operatività. Il tema del greenwashing è oggi “di tendenza” ed è spesso affrontato in modo pregiudiziale dal mercato – quando si metta in dubbio l’essenza stessa dell’orientamento e del comportamento sostenibile e responsabile dell’impresa, disconoscendo prassi che possono, invece, diventare generative; ovvero in modo superficiale, se non addirittura pregiudizievole, da parte di quelle imprese che danno alla comunicazione un rilievo prioritario rispetto all’azione ed al risultato, peraltro ponendo a rischio non solo la propria sopravvivenza sul mercato ma, altresì, minando la fiducia soprattutto di consumatori e finanza nei confronti di tutte le imprese che hanno avviato la transizione verso la sostenibilità. 

Secondo la definizione della Treccani il greenwashing è una strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo»  secondo la Commissione europea sin tratta di “  Le promesse eccessive, il non disporre di dati scientifici sufficienti per sostenere le affermazioni e l’utilizzare immagini confuse che inducano i consumatori a credere che il prodotto abbia un impatto positivo sull’ambiente, anche quando non ce l’ha.»   

Di fatto le pratiche di greenwashing si concretizzano prevalentemente in due tecniche di “comunicazione simbolica”:

  1. Decoupling: ovvero lo sdoppiamento, che consiste nel soddisfacimento solo apparente delle esigenze degli interessati, senza l’apporto di reali modifiche nelle pratiche aziendali
  2. Attention deflection: ovvero la deviazione dell’attenzione, che consiste nello sviluppare una serie di pratiche ed attività con il fine di sviare l’attenzione da tematiche sostenibili di fondamentale importanza ma sulle quali l’azienda è fortemente carente, per indirizzarla e concentrarla verso indicatori secondari che rilevano un impatto positivo

Molte aziende comunicano il loro impegno di sostenibilità: c’è chi, in occasione del passaggio a benefit ha fatto proprio un totale rebrand della propria image, come Plenitude che ha cambiato nome, brand, logo e colori sociali, dimostrando quasi un cambio di pelle e chi comunica semplicemente alcune iniziative, come ad esempio la piantumazione di alberi

Ora alcune riflessioni sulle Società Benefit:

  1. scelgono volontariamente di cambiare il proprio statuto, obbligandosi volontariamente ad un certo modus operandi “responsabile, sostenibile e trasparente” anche se possono impegnarsi anche solo su alcune finalità di beneficio comune la legge dice “una o più finalità”);
  2. devono redigere e pubblicare la relazione annuale di impatto, quindi devono rendicontare quanto fanno per rispettare gli impegni di statuto e che obiettivi si pongono per l’anno seguente;
  3. devono inserire la valutazione dell’impatto che misura quanto l’azienda è sostenibile nel suo complesso in tutte le aree E S G a prescindere dalle finalità di beneficio comune scelte.

Quindi, le società benefit devono essere più attente alla comunicazione ed al greenwashing?

Se ne è parlato con i relatori Maria Cristina Ceresa, direttrice Edizioni Green Planner; Rossella Sobrero, esperta di comunicazione della sostenibilità; Arturo Leone, Of Counsel del dipartimento di Proprietà Intellettuale, e Paola Bologna, Senior Associate del dipartimento di Diritto Amministrativo e della Regolazione dei Mercati, presso lo studio Bird & Bird.

L’avvocato Paola Bologna, esperta di diritto ambientale, ha confermato che essere società benefit comporta ulteriori responsabilità rispetto a quanto già previsto per le società ordinarie perché le società benefit si prendono un impegno ad agire sostenibile.

La legge 208/2015 al comma 384 afferma che “La società benefit che non persegua le finalità di beneficio comune è soggetta alle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, in materia di pubblicità ingannevole e alle disposizioni del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato svolge i relativi compiti e attività, nei limiti delle risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri a carico dei soggetti vigilati”, includendo nell’operatività la sostenibilità.

Al comma 380 della stessa legge, “La società benefit è amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto dallo statuto. La società benefit, fermo quanto disposto dalla disciplina di ciascun tipo di società prevista dal codice civile, individua il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle suddette finalità”, il richiamo agli interessi degli stakeholders richiama la sostenibilità. 

 L’Avvocato Arturo Leone, esperto di tecnologie di comunicazione ed advertising ha parlato di greenwashing come pratica commerciale scorretta ricordando che le società benefit sono soggette alla vigilanza dell’AGCM e che esiste un codice di autodisciplina della comunicazione ambientale.

In caso di violazione, l’AGCM commina una sanzione amministrativa da € 5.000,00 a € 5.000.000,00, un ordine inibitorio della pratica commerciale scorretta e una pubblicazione del provvedimento nei casi più gravi. 

Inoltre, vi sono ulteriori rischi tra cui:

  • contestazioni giudiziarie dei consumatori anche come class action;
  • illecito concorrenziale;
  • crisi di brand reputation.

Rossella Sobrero, esperta di comunicazione ed eventi di sostenibilità e docente universitaria. Ha pubblicato centinaia di articoli e diversi libri dedicati alla sostenibilità tra cui, nel 2022 “Verde, anzi verdissimo: Comunicare la sostenibilità evitando il rischio greenwashing”, ha affermato che al fine di evitare il greenwashing la comunicazione deve basarsi su 4 pilastri fondamentali: TRASPARENZA nei confronti dei diversi stakeholders, COERENZA, raccontando i successi e le difficoltà affrontate, CONCRETEZZA, valutando l’impatto prodotto e AUTENTICITA’.

Cristina Cerasa, giornalista Direttore di Green Planner non ha parlato più di greenwashing ma ha allargato la definizione alle tematiche ESG parlando di ESGwashing e di fake news sempre più probabili in quanto, oltre alle comunicazioni ufficiali delle aziende, si assiste a un fenomeno di self-generated content da parte di dipendenti o utenti dell’azienda stessa, difficili da controllare da quest’ultima. 

In sintesi i relatori, ognuno con il proprio punto di vista, hanno convenuto che le Società Benefit si impegnano volontariamente ad un agire sostenibile e trasparente, e quindi anche ad una comunicazione “virtuosa”. 

Per evitare il rischio di Greenwashing le parole d’ordine sono “formazione, sensibilizzazione, coerenza e documentazione di ciò che si comunica”.

Perchè prima dello storytelling è necessario un reale storydoing.