Capitalismo, Società Benefit e… felicità

7 Novembre 2023
Capitalismo, Società Benefit e… felicità

La biodiversità favorisce la creazione di ricchezza, la resilienza, la generatività. Questo, che vale in natura, vale anche trasposto nell’economia e nelle imprese.

Nell’ultimo mezzo secolo c’è stato un impoverimento della biodiversità dei modelli economici, a favore di liberismo spinto che, declinato con diverse intensità, è diventato progressivamente prevalente e mainstream. La globalizzazione ha sicuramente cannibalizzato la varietà dei modelli culturali, ridotto il ventaglio del pensiero economico e dunque l’ampiezza delle prassi del fare impresa. È l’iper-liberismo il modello che si è imposto su scala planetaria, creando sicuramente valore economico, molto meno sicuramente “ricchezza” intesa come diffuso sviluppo equo e integrale dell’uomo. Secondo questo modello l’obiettivo unico dell’impresa è quello del profitto: “The social responsabilty of business is to increase its profits”[1] è la sintesi aurea della dottrina dominante che, almeno fino alla crisi finanziaria originata negli Stati Uniti nel 2008, non è stata nei fatti messa in discussione.

La globalizzazione ha però progressivamente anche aumentato l’interdipendenza, la numerosità delle relazioni reciproche e inedite. È aumentata esponenzialmente dunque la complessità, esponendo la società, il pianeta, il futuro stesso, a crescenti rischi “inattesi”[2].

Di fronte al dischiudersi di questa nuova realtà impredicibile, il modello economico liberista che era stato esportato nel frattempo in tutto il mondo, ha iniziato a mostrare i propri limiti e un approccio che, puntando esclusivamente al profitto, ha dimostrato nei fatti di essere riduzionista e dunque insufficiente a comprendere e a governare la realtà che, ancora una volta, dimostra che è superiore alle idee[3].

C’è dunque un dannato bisogno di essere creativi, di trovare nuove strade per modelli economici che creino ricchezza, che la distribuiscono in modo equo, che siano resilienti e che generino valore relazionale sia all’interno dell’impresa che nel tessuto sociale dove operano. In una parola: c’è bisogno di imprese sostenibili e che rigenerino una biodiversità economica.

L’Italia ha molto da dire a questo riguardo. Il capitalismo che oggi conosciamo ha le sue radici dalla Riforma protestante del XVI secolo[4] che successivamente e inintenzionalmente[5] ha espresso esiti opposti alle premesse poste da Lutero. Adam Smith è stato il pensatore che, partendo dalla concezione agostiniana pessimista sulla natura dell’uomo, ha individuato nell’egoismo individuale e nei suoi vizi il motore provvidenziale (la cosiddetta “mano invisibile”) per la creazione del bene comune (“la ricchezza delle nazioni”)[6].

Ma ben prima di tutto ciò, l’Italia aveva originato niente meno che gli embrioni del mercato e i primi segnali di mobilità sociale: prima il monachesimo, poi nel XIII- XV secolo il movimento mendicante dei francescani aveva favorito in concreto (si pensi ai Monte di Pietà – che è la proto banca -, fondato ad Ascoli Piceno nel 1458) e fornito le basi teologiche – essenziali per quel tempo – allo sviluppo della “civil marcatura”[7]. Alla base di questa trasformazione profonda della società che traghettava la storia dal medioevo all’Umanesimo e poi al Rinascimento, vi era una concezione antropologica dell’uomo – opposta a quella sopra menzionata – derivata da Aristotele e da Tommaso d’Aquino, che considerava l’uomo positivamente e che vedeva in lui la capacità innata di cooperare e di creare il bene comune attraverso l’esercizio delle virtù[8].

Questo ricco filone di pensiero, nonostante la Controriforma che in Italia e in generale nei paesi latini aveva contrastato la libera iniziativa personale e dunque anche il mercato e favorito invece la rendita e l’economia agraria, aveva generato l’”economia della pubblica felicità” che in Antonio Genovesi ebbe il suo capo scuola. Precedendo La ricchezza delle Nazioni di Adam Smith (1776), nel 1765-67, Genovesi teorizzò un’economia del “bene comune e della pubblica felicità”, basata certo sulla ricerca del profitto individuale, ma non disgiunta e anzi assicurata e resa consistente mediante il mutuo interesse nell’ambito di rapporti di reciprocità e di cooperazione[9]. Non è un caso dunque che, quantunque non molto noto, la prima cattedra di Economia in Europa fu fondata appunto a Napoli nel 1754 da Antonio Genovesi.

Nella contemporaneità le società Benefit che, in una prospettiva integrale e non riduzionistica, perseguono sia il profitto che obiettivi di benessere sociale e ambientale (in sintesi: di bene comune), per certi aspetti si possono ricondurre all’economia di Antonio Genovesi.

E non sarà anche qui un caso che l’Italia, ora come al tempo di Genovesi, sia stata precursore, nel 2016, dotandosi di una apposita legislazione riguardo alle società di duplice scopo (profitto e di bene comune)[10].

Questa biodiversità economica, questa via latina al capitalismo, va sostenuta e sviluppata perché avendo radici profonde è generativa e, qualora sia genuina e non strumentale a fini di green&social washing, può contribuire a riformare l’attuale capitalismo che non soddisfa il bisogno di felicità delle persone[11].


[1] MILTON FRIEDMAN, “The Social Responsibility of Business Is to Increase Its Profits”, New York Times, 13 settembre 1970

[2] “Rischio a livello globale in crescita”, IlSole24Ore, 29 Marzo 2023, p. 26

[3] PAPA FRANCESCO, “Esortazione apostolica Evangelii Gaudium”, maggio 2015, n.231

[4] MAX WEBER, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, 1904

[5] BRAD S. GREGORY, “Gli imprevisti della Riforma. Come una rivoluzione religiosa ha secolarizzato la società”, 2014

[6] ADAM SMITH, “La ricchezza delle nazioni”, 1776

[7] LUIGINO BRUNI, “Capitalismo meridiano. Alle radici dello spirito mercantile tra religione e profitto”, 2022

[8] LUIGINO BRUNI, “Il mercato e il dono”, 2015

[9] ANTONIO GENOVESI Lezioni di commercio o sia di economia civile [1765-1767], ed. critica a cura di M.L. PERNA, Napoli 2005

[10] Legge 28 dicembre 2015, n.208 (commi 376-383 e allegati 4-5) ed entrata in vigore dal primo Gennaio 2016

[11] STEFANO ZAMAGNI, La Felicità pubblica, in Enciclopedia Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/felicita- pubblica_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Economia)/ consultato il 23.9.2023

Lucio Dassiè

Lucio Dassiè – Senior Advisor

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