
Lo smart working è stato senza dubbio uno dei temi più importanti dall’inizio della pandemia di Covid-19.
Una indagine di Randstad del 2020 affermava come l’Italia avesse raggiunto il 12,2% di occupati in lavoro abitualmente remoto, dato perfettamente in linea con la media UE e quasi quattro volte più alto rispetto al 3,6% del 2019. Il risparmio per le aziende in termini di costi e per l’ambiente in termini di emissioni di CO2 è immenso, una stima del politecnico di Milano afferma che con 4,8 milioni di smart workers in Italia nel 2021 sono stati prodotti 1,8 milioni di tonnellate in meno di emissioni, pari all’anidride carbonica che potrebbero assorbire 51 milioni di alberi.
“I benefici sociali ed ambientali dalla diffusione dello Smart Working ai livelli oggi previsti sono troppo rilevanti per non essere considerati nelle scelte politiche – dichiara Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working. E occorre sottolineare che sono benefici che potrebbero quasi raddoppiare se si estendesse l’applicazione dello Smart Working ai livelli che i lavoratori desiderano e che la pandemia ha dimostrato essere già possibili con le tecnologie attuali”.
Ma come cambiano le prospettive ora che le misure restringenti dovute alla pandemia sono praticamente abrogate e la crisi energetica porterà ad un maggior costo in bolletta per i lavoratori da remoto?
Secondo una analisi condotta ad inizio 2022 da Selectra, infatti, il costo delle bollette di luce e gas per i lavoratori agili sale fino al 230% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Visti i rincari previsti dalla crisi energetica per il prossimo inverno, l’aumento di questi valori è assolutamente scontato. Che fare quindi? L’Italia deve rinunciare al lavoro ibrido e tornare ad una situazione pre-pandemica con dei livelli di innovazione nel mondo del lavoro ben al di sotto della media europea?
No, sono al momento in discussione molteplici proposte da parte di associazioni di professionisti, centri studi e la stessa agenzia delle entrate per trasferire parte dei risparmi delle aziende nelle buste paga dei lavoratori agili così da contribuire in modo efficiente ad una riorganizzazione del lavoro più attenta alle esigenze delle persone e dell’ambiente.