
La nuova strategia di marketing che ha rivoluzionato una delle
case di moda più famose al mondo
Articolo Gucci- Gioia
Gucci si appresta a celebrare i 100 anni della maison. La casa di moda che fu fondata nel 1921 a Firenze da Guccio Gucci ha subìto un radicale cambiamento negli anni, passando da azienda familiare a colosso del lusso, cedendo progressivamente le sue quote al gruppo francese Kering, il quale sostiene e promuove lo sviluppo di alcuni tra i più rinomati marchi di moda, pelletteria, gioielli e orologi. Gucci ha assistito ad una crescita esponenziale sia in termini di fatturato che di popolarità in particolare modo negli ultimi anni: dal 2015 al 2019, infatti, le vendite annuali sono incrementate da 3,9 miliardi a 9,6 miliardi di euro, vantando inoltre più di 500 negozi con oltre 20 mila dipendenti. Ed è stato proprio nel 2015 che è avvenuta la svolta. Prima di allora, Gucci era nel pieno di una crisi aziendale, capeggiata da Patrizio Di Marco, CEO, e Frida Giannini, direttore creativo. I problemi erano per lo più di brand identity: da un lato le strategie di marketing e di business di Di Marco avevano perso mordente: il CEO aveva puntato ad una diminuzione della presenza del logo e attuato una politica inflazionista dei prezzi, specialmente per le borse, per riconquistare la fascia high-end dei consumatori; dall’altro Giannini, la quale aveva ereditato un’estetica edonista e provocante dal precedente direttore creativo, Tom Ford, aveva cercato di ripulire l’immagine della maison, tornando ad uno storytelling più conservatore, estremamente sofisticato, decisamente più coerente con le radici del marchio, sfociando però in richiami d’archivio alquanto discontinui. Gucci aveva quindi perso identità e riconoscibilità, e ciò si riflesse in un calo delle vendite a partire dal 2013.
Nel 2015 fu chiara l’urgenza di un cambio di organizzazione aziendale, e la maison fu affidata al visionario Marco Bizzarri, in precedenza brillante CEO del celebre marchio Bottega Veneta. Bizzarri puntava a innovare l’azienda, e fu proprio lui, desideroso di lavorare a stretto contatto con una persona con cui condividesse visione e valori, a nominare Alessandro Michele (già dipendente dal 2003 come designer di borse) direttore creativo. E’ iniziata così una nuova era per Gucci.
L’azienda è stata resa più snella e rapida nelle decisioni, anche più decentralizzata, prevedendo un’organizzazione più verticale, con meno riporti diretti al CEO e maggiori responsabilità delegate. Sono stati accorpati tutti i canali di vendita in una nuova unità operativa creata ad hoc sulla considerazione che ormai i consumatori non entrano in contatto con Gucci solo recandosi nei negozi, ma prima girando su internet, magari comprando online, facendo confronti, guardando una vetrina in aeroporto tra un volo e l’altro. Allora come oggi non c’era un canale ma tanti canali di vendita, ed essi stessi dovevano esprimere la stessa Gucci. Sono stati totalmente rivisti anche merchandising, analizzato attraverso la sentiment analysis (metodo che valuta le reazioni associate ai prodotti) e commerciale, aree vitali per un’impresa che opera nel lusso e che tra le prime ha capito il rapporto sempre più stretto e sinergico che lega la creatività al posizionamento del prodotto sul mercato. A livello di corporate culture è stato attuato un cambiamento bottom-up e non top-down, promuovendo un’etica del lavoro più incentrata sul team working costante, non cristallizzato sullo status quo ma orientato al miglioramento continuo: una culture non di terrore, ma di rispetto, di valori condivisi, quali umiltà, creatività, talento e partecipazione collettiva, avvalorando il contributo e impatto di ogni singolo dipendente. Per quanto riguarda la supply chain, è stata resa più rapida, pur mantenendo alti standard di qualità e perfezione: molti prodotti erano stati esternalizzati con la gestione precedente, mentre il nuovo management ha puntato invece sull’internalizzazione di sviluppo, manifattura e produzione con un Hub ad hoc vicino Firenze, riportando Gucci al Made in Italy.
Il punto di forza dell’ultimo Gucci risiede soprattutto, però, nell’efficace gestione dei social network e nell’innovazione della comunicazione e del marketing, non vendendo semplicemente prodotti, ma restituendo emozioni, idee e concetti, contraddistinti da una narrativa ben precisa: è stato infatti il primo marchio di lusso a posizionarsi come “digital native”, targetizzando anche un segmento di consumatori a cui prima Gucci non ambiva: i giovani. Questi, a differenza dei propri genitori, tendono ad essere molto meno fedeli ad un brand, motivo per cui Gucci ha al suo interno un “comitato ombra”, costituito da Under 30, con cui discutere dei medesimi temi affrontati nel corso dei meeting con i dirigenti, in modo da avere un punto di vista differente, o per accogliere le loro idee innovative e capire meglio come rivolgersi a questa parte di mercato. Il brand è fortemente presente su diversi canali social, come Instagram, Facebook, Twitter, Youtube e Pinterest, pubblicando regolarmente contenuti di altissima qualità, spaziando da post a storie e reels a video, collaborando anche con icone pop e persone molto famose (oltre che artisti e registi), mantenendo così l’engagement molto alto. Ma non solo: Gucci ha puntato anche ad un sito web “immersivo” e user-friendly con un’attenzione particolare al customer care e ha implementato un app interattiva con sezioni di gaming e di realtà aumentata con le quali è possibile indossare prodotti virtualmente. Analizzando la sua strategia di comunicazione si evince come abbia cercato di reinventare e sfidare lo status quo, capendo quanto importante sia una relazione duratura nel tempo con il cliente, essendo l’unico mezzo per poter registrare un successo nel lungo termine. Non si limita quindi ad offrire l’esclusività tramite i prodotti che colloca sul mercato, bensì si impegna nel rendere il consumatore parte integrante della propria strategia, mettendo a sua disposizione dei servizi successivi alla vendita. Operando in questa direzione, Gucci è stata in grado di conquistare la fiducia di milioni di clienti, di ogni nazionalità.
Analizzando il modello CBBE (Customer-Based Brand Equity Pyramid) appare chiaro come Gucci si sia focalizzata su ogni suo aspetto:
-Prominenza (Salience): un’elevata influenza sui social media e un logo facilmente riconoscibile si traducono in un elevato riconoscimento del marchio;
– Immagine (Imagery): quando si pensa a Gucci subito si riporta alla mente il suo logo con la doppia “G”, il suo essere Made in Italy, di tendenza e la tradizione che racchiude dentro di se’;
– Performance: nonostante il prezzo molto elevato (premium price), i prodotti offerti sono eleganti, durevoli nel tempo e caratterizzati da uno stile moderno e affidabile;
– Emozioni (Feelings): grazie all’esclusività di ogni singolo bene, coloro che ultimano gli acquisti si sentono accettati dalla società e sono pervasi da un senso di successo;
– Giudizi (Judgement): il marchio risulta essere credibile agli occhi esterni grazie a dei prodotti curati anche nei minimi dettagli, di alta qualità e affidabilità;
– Risonanza (Resonance): possedere un prodotto brandizzato Gucci conferisce un senso di appartenenza ad una comunità e all’alta società.
Con il fine ultimo di realizzare offerte mirate che siano in grado di soddisfare al massimo le necessità dei clienti, l’azienda applica un mix di strategie demografiche e psicografiche di segmentazione combinate a strategie di posizionamento facenti perno sul valore per potersi affermare come marchio di lusso. Volendo applicare il modello delle 4P di Porter per capire quali siano le leve finanziarie adottate dall’azienda per raggiungere i propri obiettivi, il Marketing Mix aziendale può essere riassunto come segue:
–Product: Il portafoglio prodotti comprende abbigliamento e accessori per donne, uomini e bambini, e comprende anche una sezione beauty e di arredamento per la casa. Tutti gli articoli sono venduti con l’aiuto di professionisti e presentati con elevata attenzione;
–Price: Gucci adotta una politica di premium price per via dell’elevata qualità di cui tutti i prodotti sono testimoni, cercando sempre di mantenere il giusto equilibrio tra esclusività e disponibilità. L’azienda non reputa accettabile scendere a compromessi sul fattore della qualità, motivo per cui i prezzi non possono essere ridotti;
–Promotion: L’azienda opta per elevati investimenti nell’area pubblicitaria, attuando anche strategie di marketing innovative per affrontare l’attuale ambiente dinamico. In alcuni casi è stato deciso di realizzare delle pubblicità che hanno destato scalpore, ma che hanno aiutato l’azienda ad avere una copertura mediatica a livello globale. Da sempre sono state realizzate campagne destinate alle grandi riviste di moda, ma con l’avvento della digitalizzazione i social network hanno iniziato ad assumere un ruolo sempre più decisivo;
–Place: Gucci attua una strategia omnichannel attraverso canali di vendita limitati e accuratamente selezionati, quali boutique per un’esperienza di acquisto di persona ed e-commerce ufficiale e e-commerce multi-brand di lusso per un’esperienza di acquisto online. Dal momento che il fine del marchio è quello di soddisfare il cliente ed offrirgli un’esperienza, i punti vendita (più di 500 nel mondo, localizzati nelle vie più raffinate ed eleganti delle città) offrono un ambiente rilassante. I dipendenti, rigorosamente con indosso una divisa nera, offrono dei servizi specializzati, volti a far sentire il singolo cliente speciale. Ogni negozio è arredato in modo classico e le vetrine sono allestite in modo da renderle accattivanti.
Guardando all’Oriente, Gucci ha rivolto considerevole attenzione alla clientela cinese, la quale rappresenta circa il 34% dei ricavi totali dell’azienda (e si prevede che entro il 2025 rappresenti quasi la metà delle vendite globali di abiti, borse e gioielli di fascia alta). Il mercato cinese risulta difficile da penetrare per grosse barriere istituzionali e culturali, e, nell’adattamento della strategia di marketing a livello locale, rispetto e valorizzazione culturale giocano un ruolo decisivo. Gucci ha lanciato il suo sito cinese gucci.cn nel 2017, sviluppando inoltre una strategia dedicata per garantirsi una presenza significativa su tutte le principali piattaforme di social media cinesi, tra cui Weibo, WeChat, Red Book e Douyun. Per stimolare l’innovazione e la leadership nello sviluppo di strategie digitali e coinvolgere in modo sempre più profondo e personalizzato la brand community, nel 2019 ha annunciato una joint business partnership con Tencent, una delle principali internet company cinesi. Come si può chiaramente evincere, la strategia attuata in Cina è digital first e ciò non è casuale, anzi: il 62% degli acquisti di Gucci in Cina, infatti, è di consumatori sotto i 35 anni, e si registrano alti tassi di crescita tra gli under 24, ovvero quelle generazioni più attive sulle piattaforme di e-commerce. Mentre in Europa quando pensiamo allo shopping online pensiamo principalmente ad Amazon, in Cina sono moltissime le piattaforme di e-commerce su cui poter fare acquisti in tutta sicurezza, alcune più indicate di altre per acquistare determinati articoli. Proprio per questo, Gucci ha recentemente deciso di sbarcare su Tmall (piattaforma di e-commerce per beni di lusso) con non uno ma ben due official stores: il primo, online dal 21 dicembre 2020, dedicato alla parte di abbigliamento e accessori/ pelletteria; il secondo, pubblico nel febbraio 2021, dedicato alla sezione beauty del brand. Per quanto riguarda i prodotti, Gucci ha modificato la propria offerta:
1. Ha analizzato il gusto della clientela cinese (colori, forme, patterns, elementi cross-gender) e la morfologia della stessa, adeguando i prodotti (come occhiali da sole e abiti) alla conformazione fisica orientale, differente rispetto a quella occidentale;
2. Ha adattato localmente l’assortimento dei prodotti;
3. Ha collaborato con artisti locali per introdurre elementi e simboli tipici della cultura cinese su stampe del brand;
4. Ha creato capsule collection ed eventi ad hoc per celebrare alcune festività, come Capodanno e San Valentino;
5. Ha creato campagne con volti e modelli asiatici e giovani star locali.
Per quanto riguarda l’estetica e l’aspetto più creativo del brand, Michele ha convogliato il privato, fatto di letteratura, arte e antiquariato, e il suo vissuto nelle collezioni, sostituendo i codici estetici aristocratici di Giannini con un’impronta più romantica, mixando sapientemente elementi e stili diversi tra loro, riportando in auge il vintage, in particolare modo quello degli anni ’70. E’ stato definito anche “provocatorio” e “rivoluzionario” per la sua idea di moda genderless: nel 2020 abbiamo assistito ad un denso fervore sociale con la rivendicazione dei diritti di genere, e Gucci si è resa interprete del contemporaneo: sulle passerelle assistiamo infatti a pezzi iconici e allo stesso tempo intercambiabili, con stampe floreali, pizzi, ricami, scavallando l’idea binaria uomo-donna e affermando un concetto di moda molto più libero e fluido. Condivisibile o meno, questa visione ha di nuovo reso possibile l’avvicinarsi ai Millenials e alla Generation-Z, molto sensibili a queste tematiche, rendendo il brand molto più accessibile e democratico. Ciò ha funzionato proprio perché la maison ha intercettato il cambiamento e ne ha desunto e costruito un sistema valoriale aziendale molto complesso, sistema valoriale che ha come paradigmi anche quelli dell’inclusività, della diversity e della parità: Gucci infatti restituisce un’idea di bellezza scevra di canoni estetici ormai datati, lontani anni luce dalla perfezione a cui siamo stati sempre abituati finora nell’advertising; ed è proprio per questo che viene quasi esasperata l’imperfezione per esaltare l’ampio spettro di visi, corpi e caratteristiche che celebrano la normalità, quella che vediamo tutti i giorni. Per questo, sia nel fashion che nel beauty, assistiamo a campagne con persone disabili, artisti di nicchia, modelli gender-fluid, introducendo un’estetica nuova e non convenzionale, che depotenzia la bellezza come requisito necessario per la realizzazione e il successo.
E’ chiaro che un posizionamento di questo tipo per un brand di lusso sia difficilmente digeribile a primo acchito, ma incarna la filosofia dell’essere “risk taker”, dell’assumersi il rischio. Gucci ha optato anche per una vasta differenziazione del prodotto, innovando costantemente ma mantenendo i cosiddetti long-seller della maison: ogni item è sempre disponibile in store nella sua versione classica, ma in ogni stagione è affiancato da varianti di tendenza per raggiungere target differenti, pur restando coerenti con il medesimo messaggio estetico e valoriale. Ciò ha comportato un cambiamento del consumatore medio del brand, ad oggi non più la stereotipata persona di successo con anni di carriera alle spalle o l’alta borghesia, ma chiunque abbia sufficiente potere d’acquisto.
Il 2020 è stato un anno storico anche per la pandemia da Covid-19, che ha innescato una pesante crisi economica, a cui perfino il mondo del lusso non ha potuto sottrarsi: Gucci ha infatti perso il 22%, scendendo a 7,4 miliardi di euro di fatturato. Hanno pesato alcune scelte riorganizzative e strutturali: per prima cosa ha ridotto la vendita attraverso intermediari per rivolgersi direttamente ai clienti nelle sue boutique e sul suo negozio online; contemporaneamente ha iniziato delle collaborazioni con i principali rivenditori globali online per raggiungere nuovi clienti: ha stretto un accordo con il cinese Alibaba ed è in trattative con Net-a-porter, Matchesfashion.com e Mytheresa. Intanto sta riprendendo il progetto, abbandonato con la pandemia, di diversificare la vendita al dettaglio rinnovando molti negozi per attirare i clienti del posto e non soltanto i turisti; fanno parte di questa strategia anche gli oltre 150 eventi previsti quest’anno per festeggiare il centenario della sua fondazione, molti dei quali in Cina. L’interesse per l’azienda resta comunque alto, come ha mostrato il successo della collaborazione con l’azienda di abbigliamento sportivo North Face a gennaio: 1,7 milioni di persone si erano iscritte per avere un accesso anticipato all’acquisto (strategia per altro molto presente in particolare modo nel mondo dello streetwear: creare capsule collection, quindi collezioni in edizione limitata vendendo gli item ad un premium price). In Cina le vendite stanno andando ancora molto bene. Inoltre, avendo conquistato l’interesse dei più giovani ma avendo forse trascurato il segmento più facoltoso della clientela negli ultimi anni, Gucci ha pensato di riproporre e innovare due item iconici e storici della maison: le borse Jackie e 1955 Horsebit.
Il brand non ha perso comunque tempo, e, seppur in tempo di crisi, ha investito nell’R&D (Research and development) lanciando il “3Dream”, un progetto di modellazione e prototipazione in 3D grazie al quale, anche lavorando a distanza, il team creativo può vedere lo sviluppo dei prodotti in modo molto veloce e flessibile, migliorando anche la sostenibilità, puntando a produrre solo i prototipi necessari, senza sprechi, andando a delineare “la Gucci del futuro”.
Pensando al futuro non possiamo che non pensare anche al digital, che la pandemia ha catalizzato in ogni settore, a cui anche il mondo della moda ha dovuto adattarsi. Nel luglio del 2020 Gucci si è contraddistinta: ha infatti scelto di abdicare alle regole e sovrastrutture del fashion system, decidendo di presentare da allora in poi le proprie creazioni solamente due volte l’anno, iniziando con Gucci Epilogue, un live stream di 12 ore su tutti i canali social, dove il making-of e il backstage dell’evento sono stati resi fruibili da tutti, come la collezione che ha seguito, per cui i dipendenti stessi della maison hanno sfilato.
Gucci guarda sicuramente al futuro impegnandosi anche per un mondo più “green”: riscaldamento globale e tutela dell’ecosistema sono temi caldi e anche le aziende operanti nel settore del lusso hanno un certo grado di responsabilità, apportando il proprio contributo con politiche di riduzione di emissioni e inserendo nei bilanci aziendali i parametri ESG (environmental, social and corporate governance). Per questo, nel 2019, l’azienda ha deciso di diventare carbon neutral attraverso tutta la supply chain, dai fornitori ai negozi, con il progetto Gucci Equilibrium e ha lanciato nel 2020 Gucci Off The Grid, la prima linea interamente sostenibile, coinvolgendo come testimonial persone del mondo dello spettacolo per sensibilizzare il pubblico.
A questo punto è inevitabile chiederci cosa possiamo aspettarci. Nonostante la crisi da Covid-19, l’azienda si definisce ottimista, poiché il settore del lusso continuerà a crescere essendo un settore a cui sempre più persone con disponibilità economica si approcceranno, ipotizzando perfino uno scenario di over-buying post-pandemia.
FONTI
https://www.corriere.it/economia/moda-business/21_marzo_15/bizzarri-100-anni-guccilettera-dipendenti-futuro-maison-785b85bc-85cc-11eb-9163-c4d65be13e50.shtml https://it.wikipedia.org/wiki/Gucci https://www.linkedin.com/video/live/urn:li:ugcPost:6778268918374051840/? isInternal=true&lipi=urn%3Ali%3Apage%3Acompanies_company_videos_index%3BPxwx wNKCT626rnQ0H8sahg%3D%3D&licu=urn%3Ali%3Acontrol%3Ad_flagship3_company-live_ external_link https://www.corriere.it/moda/20_giugno_12/marco-bizzarri-basta-gli-obiettivi-timidi-cosiho-cambiato-mio-modo-pensare-432acac8-abcb-11ea-822f-b27e74f859d1.shtml https://www.rivistastudio.com/marco-bizzarri-gucci/ https://www.corriere.it/moda/business/15_aprile_10/kering-rivoluzione-bizzarri-ecco-managernuova-gucci-357380e8-df5a-11e4-9755-7346caf2920e.shtml https://www.businessoffashion.com/podcasts/news-analysis/the-bof-podcast-inside-guccisexplosive-growth-strategy https://www.ilpost.it/2021/02/19/gucci-calo-vendite-2020/ https://www.corriere.it/economia/consumi/20_dicembre_18/gucci-si-allea-alibaba-apredue-negozi-digitali-tmall-b762daa0-410f-11eb-b7e3-563a33cae2bc.shtml https://bridgingchinagroup.com/gucci-in-cina-il-made-in-italy-che-piace-punta-sul-digitalfirst/ https://www.mbaskool.com/marketing-mix/products/17110-gucci.html https://fashionhistory.fitnyc.edu/gucci-strikes-red/