
Durante il convegno del 30 marzo organizzato dalla Presidente del Municipio IX di Roma sul tema del lavoro agile, ho provato a dare il mio contributo come donna manager di azienda, avendo lavorato per quasi trent’anni in grandi corporations, sia private che pubbliche , in ruoli sempre più complessi che mi hanno a volte imposto serie riflessioni sul cosiddetto “work life balance”…
Ma partiamo dal titolo di questo incontro : le parole chiave sono Donne , cambiamento ed lavoro agile
Le donne cambiano è vero… ma intanto vale la pena citare qualche dato significativo: In Italia la popolazione femminile è maggioranza (il 51,3% della popolazione) è più longeva degli uomini, è più istruita (33,4% di laureate contro il 29,% di laureati) e abituata ad applicarsi di più:. Le donne infatti sono più regolari: il 91% delle donne conclude gli studi scolastici superiori in modo regolare contro l’85% degli uomini. Raggiungono voti più alti e studiano di più: il 38% dedica allo studio e ai compiti a casa più di 15 ore settimanali contro il 16% degli uomini. Sono più le donne che gli uomini a conseguire Master e dottorati. Purtroppo nelle discipline STEM siamo ancora indietro rispetto agli uomini, ma stiamo recuperando. Le donne restano sono intellettualmente e culturalmente molto più attive degli uomini: maggiori sono le percentuali di donne, rispetto agli uomini che leggono, visitano i musei, vanno nei teatri….
Ma a che serve tutta questa preparazione se poi permane un gap di genere nelle retribuzioni, nelle carriere, nelle posizioni di vertice?
Il mondo del lavoro penalizza le donne, quando entrano, quando si sposano, quando fanno figli.
Il divario retributivo medio tra salario femminile e maschile è del 12% e si registra per tutte le posizioni organizzative. Con un grande sforzo parlamentare qualche anno fa è stata fatta una prima legge a tutela delle c.d. “quote rosa”. Non basta. Le donne in parlamento sono solo al 35,4%; negli organi decisionali al 15,9%; nei Consigli di Amministrazione solo da quest’anno hanno superato il 40%.
Le quote rosa sono applicate per legge ai CDA. E’ tempo che si applichi la stessa regola anche alle funzioni operative, a tutti i livelli e che si riequibri non solo il gender gap ma anche il c.d. gender pay gap. Ovvero si rispetti la parità salariale.
In Italia meno del 2% delle imprese manifatturiere ha una donna come amministratore delegato, eppure è dimostrata, anche in un recente studio Luiss, una correlazione tra la leadership femminile da una parte, e la distribuzione salariale e la performance aziendale dall’altra.
Lo studio mostra che la produttività di un’impresa aumenta del 14% con un CEO donna quando almeno il 20% della forza lavoro è femminile.
La leadership femminile inoltre porta a un aumento degli stipendi massimi delle lavoratrici donne e a una diminuzione di quelli minimi. Quindi la leadership femminile riduce le differenze di genere nella distribuzione salariale.
Ma sappiamo che le donne non lavorano solo per lo stipendio, ma anche per un profondo “senso del dovere” che ci accompagna da quando siamo piccole ed è maggiore mediamente di quello maschile.
Alcune poi, come me, soffrono della c.d. “sindrome dell’impostore” e devono sempre dimostrare di meritare il proprio successo e il proprio ruolo.
Durante la pandemia le donne hanno dimostrato resilienza e tenacia, lavorando e tenendo unita la famiglia; eppure sono le donne, insieme ai giovani, le categorie che più hanno risentito della crisi o che sono state protagoniste del fenomeno delle dimissioni volontarie. Oltre il 55% dei lavori persi nel 2020 erano di donne vittime collaterali della pandemia perché impiegate nei settori messi in ginocchio dalle misure emergenziali come il turismo e la ristorazione.
Ma un dato è certo: le donne che hanno perso di più sono quelle che non avevano la possibilità di fare smart working
Lo smart working ha permesso a tutti, in particolare alle donne, di continuare a lavorare durante la pandemia. Ma è davvero una panacea per le donne, o un’arma a doppio taglio?
Con la fine dello stato di emergenza, ci si aspettava anche un addio allo smart working, nella modalità applicata durante la pandemia, ma il Governo Draghi ha deciso di prorogare la normativa fino al 30 giugno. Il lavoro agile continuerà quindi ad essere adottato tramite un semplice accordo individuale tra lavoratore e datore.
Il lavoro agile è stato sperimentato in misura uguale da uomini e donne e l’84% di smart workers alla domanda: “saresti favorevole a proseguire il lavoro agile” risponde: “sì, vorrei continuare a lavorare smart”
Inoltre il lavoro agile ha offerto la possibilità di migliorare le competenze tecnologiche. In un paese con un forte digital divide e competenze digitali spesso ad appannaggio dei maschi, per retaggio culturale, lo smart working è stato anche un’occasione per ridurre il gap di genere rispetto alle competenze digitali e tecnologiche.
Lo smart working poi ridurrebbe il ricorso a forme di lavoro come il part time, rimettendo le donne in corsa per l’assunzione di ruoli di maggiore responsabilità e più apicali, creando quindi le premesse per ridurre anche l’elevatissimo gap di genere nei ruoli chiave delle aziende.
Tantissime analisi dichiarano che lo smart working è di supporto per la conciliazione degli impegni di vita e lavoro. Le donne intervistate dichiarano in misura maggiore di aver esigenze di conciliazione (il 64% delle donne contro meno del 50% degli uomini dichiara di aver esigenze di work life balance) Per entrambi, la principale esigenza di conciliazione è correlata alla presenza di figli minori di 14 anni in famiglia.
Spesso tuttavia le donne si trovano schiacciate da incombenze doppie: la cura dei figli da un lato, gli impegni lavorativi dall’altro. Per le donne la flessibilitàviaggia di pari passo con il dovere di “essere madri”, insieme a un retaggio culturale patriarcale che vede la figura femminile più adatta a badare alla casa che alla carriera.
Bisognerebbe quindi trovare un sano compromesso tra lavoro agile e in presenza, tra diritti e doveri, tra carichi genitoriali e spartizione delle mansioni.
Alcune aziende “virtuose “ hanno introdotto strumenti di welfare a supporto della genitorialità, come la flessibilità di orari. Ma le aziende non possono fare tutto da sole, servono strumenti normativi ed interventi specifici per la condivisione dei carichi di cura tra donne e uomini, congedi parentali paritari, incentivi per i datori di lavoro che promuovano strumenti di welfare innovativi.
Nelle Ferrovie dello Stato, durante il lockdown tutta l’azienda si è fortemente concentrata nel garantire la continuità delle attività di business, laddove possibile, e di staff in maniera diffusa. L’azienda sconta un gender gap dovuto anche alla natura dei mestieri: 18,2% della popolazione lavorativa è femminile ma ha rappresentato il 68,3% degli smart workers. Da una survey sul gradimento della modalità di lavoro agile e sulle aspettative ( survey a cui hanno risposto più gli uomini che le donne) emerge che per il 54% degli intervistati il benessere psicofisico è migliorato in regime di smartworking ed il 91% vorrebbe proseguirlo per gli 11gg/mese previsti dall’accordo tra lavoratori e azienda. Il 40% dei partecipanti si dichiara entusiasta all’idea di rientrare in ufficio , il 31% è preoccupato.
Le relazioni in smart working sono state generalmente positive, più efficaci tuttavia con i responsabili che con i colleghi in particolar modo quelli di altre strutture organizzative . Qualcuno si è sentito tagliato fuori da ciò che accadeva in azienda. Immaginate cosa vuol dire ciò per quelle donne con il senso di appartenza e con l’ansia di doversi “meritare” il posto in azienda…
L’azienda quindi, a valle della survey e delle evidenze del periodo emergenziale sta riflettendo per costruire un modello di lavoro remotizzato efficace intervenendo su: identità e senso di appartenenza, ascolto e partecipazione, regole per garantire il tempo della formazione, strumenti di bilanciamento fra vita e lavoro.
In generale lo smart working , insieme alla presenza di smartphone, tablet, pc (spesso forniti dalle stesse imprese) ha reso continue le comunicazioni e imposto dei tempi di risposta istantanei ai quesiti e alle tematiche poste dal datore di lavoro (sia esso manager privato o pubblico). Dall’altra ha, però, sollevato interrogativi seri sul diritto alla disconnessione. Ossia il diritto che il lavoratore, non imprenditore, ha di non essere reperibile fuori dal normale orario di lavoro. Esso comprende non solo il diritto di “scollegarsi”, una volta fuori dall’orario di lavoro ma anche quello di non essere “richiamati” oppure premiati per avere tenuto un comportamento diverso (a differenza dei colleghi). Per le donne che sono più multitasking degli uomini , con il senso del dovere e l’ansia di dover dimostrare , il diritto alla disconnessione è importante e va tutelato, anche con norme ad hoc.
Di contro va detto che alcune soft skills sono più accentuate nelle donne:
Noi siamo meno individualiste, abbiamo maggiore capacità di ascolto e maggiore capacità di lavorare in team.
Lo studio di McKinsey “Women in Workplace 2021” mostra che rispetto agli uomini dello stesso livello, le donne manager stanno intraprendendo più azioni concrete per supportare i loro team, dall’aiutare i dipendenti a gestire i loro carichi di lavoro al monitorare regolarmente il loro benessere complessivo. Le donne manager trascorrono i doppio del tempo dei loro colleghi occupandosi di questioni di diversità ed inclusione, sebbene esulino dalle loro responsabilità.
Inoltre le donne tendono a risolvere i problemi e sono mediamente più creative , ma la creatività può concretizzarsi anche a seguito di uno scambio informale di idee alla macchinetta del caffè e non necessariamente in un contesto strutturato “screen2 screen”.
Ma queste soft skills, tipicamente femminili , sono meno “attuabili” in un modello “ da remoto”, e si estrinsecano al meglio in un modello di lavoro in presenza.
Per tutte queste ragioni ritengo che la soluzione migliore, a regime, sia un modello ibrido, o “phigital”,( peraltro la maggior parte dei lavoratori donna dichiara che farebbe smart working tre giorni la settimana). Questo permetterebbe di :
- Conciliare il worklife balance
- Accrescere l’occupazione femminile anche in ruoli apicali, riducendo il ricorso al part time che frena la carriera
- Aumentare le competenze digitali
- Sfruttare appieno le soft skills femminili ( dall’essere multitasking al saper lavorare in team)
Ma servono :
- Strumenti di welfare e di condivisione dei carichi genitoriali, da parte di imprese e istituzioni
- Formazione sulle competenze digitali
- Diritto alla disconnessione