People Strategy per ripartire: 4, 2 o 3 gambe?

8 Luglio 2020
People Strategy per ripartire: 4, 2 o 3 gambe?

Riflessioni fuori dagli schemi per un workplace a “5G”

L’esperienza collettiva del lockdown ha sollecitato tutti all’importanza della connessione tra generazioni, partendo dalla fragilità degli anziani alla tutela dei più piccoli, alle nuove abilità che lavoratori e lavoratrici dovranno sviluppare per il cambiamento.

“Niente sarà più come prima” risuona come un mantra però doloroso, fatto di rimpianti e denso di incertezze economiche e organizzative sempre più ampie. Parallelamente agli scenari di crisi economica e del lavoro, di “riorganizzazione delle riorganizzazioni” e di spending review soprattutto nell’ambito della gestione delle persone, sarà inevitabile pensare al coinvolgimento e alla motivazione di dipendenti e collaboratori nell’organizzazione.

“Niente sarà più come prima” può anche essere percepito come una formula più aperta alla speranza di un cambiamento in positivo nelle logiche dell’engagement se si farà attenzione agli insegnamenti che l’evento globale della pandemia ha generato in ognuno per riportarli nell’ambito organizzativo.

Quali sono le buzzwords che si sentono echeggiare in queste settimane come priorità per il mondo HR? Ovviamente smartworking per ripensare la vita professionale in maniera più “intelligente”, digitalità per potenziare (o diminuire?) l’apporto che le nuove tecnologie possono dare al lavoro, employability o re.skilling per riformulare le competenze e i ruoli in azienda.

Ora un passo indietro.

Quali erano le parole chiave a fine 2019? Probabilmente le stesse. L’emergenza sanitaria e del mercato del lavoro non ha fatto altro che risaltare ancora di più le criticità dei brand che non si dimostrano sostenibili e responsabili sia all’interno, sia all’esterno di essi in un’ottica di cittadinanza reale.

Secondo i dati dell’ultimo osservatorio del Diversity Brand Index 2020, infatti, le aziende che investono in pratiche di Diversity&Inclusion raggiungono un +23% nella crescita dei ricavi e un +89,8% di Net Promoter Score (indice del passaparola) con un numero di detrattori e detrattrici prossimo allo 0; inoltre, il 63% degli italiani dichiara di orientare la preferenza d’acquisto nei confronti dei brand percepiti come inclusivi.

E un brand per essere inclusivo, al di là delle strategie di marketing, deve far vivere l’esperienza soprattutto al suo interno in maniera autentica e spontanea. Per gestire la ripresa (o il tanto auspicato Rinascimento dopo la “peste”) delle organizzazioni, in questo momento così delicato, nelle people strategy si deve necessariamente puntare su inclusione e social design.

Le iniziative di inclusione generazionale possono essere una chiave di volta: in fondo lo smartworking mindset è un tema di confronto generazionale, il rapporto con la digitalitá e il “nuovo umanesimo parte dal dialogo autentico tra gli attori di generazioni differenti, il re.skilling è un processo di condivisione e mutual learning tra esperienza e innovazione, la tutela del lavoro e tutte le misure di welfare e people care per le famiglie rappresentano una responsabilità sociale di impresa che si estende dalle quattro popolazioni ormai canoniche interne all’azienda ad un “5Generations workplace”, considerando anche i bambini o gli anziani.

La tentazione in azienda nei prossimi mesi, complici le dinamiche finance e i regimi di cost saving, sarà di ragionare sulle dinamiche di brevissimo termine senza seminare efficacemente per il futuro; ma la responsabilità HR sarà proprio nella capacità di ideare strategie di social value che possano favorire iniziative di:

  • reti di collaborazione cross-generazionali
  • trasparenza sui bias legati all’età
  • adattabilità a valori e stili culturali diversi
  • ingaggio secondo stili e strumenti adatti a tutte le generazioni presenti in azienda
  • motivazione basata sulla condivisione tra senior e junior

L’ambizione all’inclusività è un cammino che porta risultati anche in tempi rapidi, laddove la collaborazione e l’employee engagement innescano il miglioramento dei livelli di produttività, di creatività e ampliano i range di competenze immediatamente disponibili nell’organizzazione.

Tutto questo è “AGE-ILE THINKING”, ovvero disegnare soluzioni a problemi complessi attraverso una visione intergenerazionale. Casualmente, l’acronimo dell’ormai consolidato processo del design thinking tende a coincidere con la figura mitologica di EDIPO:  Empathyze – Define – Ideate – Prototype –  Outcome (Test & Implement).

E l’eroe tebano viene raccontato nelle opere di Sofocle come colui che riuscì a sciogliere l’enigma della Sfinge: «Qual è l’essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?». Come sappiamo la risposta all’indovinello era l’essere umano che cammina durante l’infanzia a quattro gambe, poi a due, e infine si appoggia ad un bastone nella vecchiaia.

La sfida epocale quindi per chi si occupa di people&culture all’interno dell’azienda è oggi proprio quella di rispondere all’enigma della ripartenza con la risposta fiduciosa che possano essere le persone le protagoniste del cambiamento. Senza distinzione di età, senza gap e senza pregiudizi, ma con il coraggio di innovare innanzitutto sul piano umano oltre che tecnologico.

Giulio Beronia

Giulio Beronia – Employee Inclusion & Branding Advisor

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